Interstellar: un tentativo di recensione
Premessa: questo è un blog prevalentemente di mie prose e poesie, sappiate quindi che non faccio una recensione tecnica, piuttosto spirituale, come reputo debba esserla.
Post premessa: la fantascienza ha sempre difficoltà a farsi spazio in Italia, Interstellar sembra aver convinto, invece, molti italiani.
Il film è lungo, ma finisce in fretta. Potrei riassumere così il sentiment comune sulla durata della pellicola. Frettoloso e, in parte, banale il finale.
Lungo anche l'inizio, nel quale la campagna americana (qui morente), ambientazione di moltissimi film, non solo di fantascienza, diventa claustrofobica.
Il film sembra quasi un testamento. Per carità, auguro a Nolan 100 di qesti film, ma la sensazione è davvero quella ci abbia lasciato un testamento: forse il tema del film l'ha permesso.
Molti dicono sia un omaggio a Kubrick, in realtà di Kubrick c'è ben poco, anzi Nolan quasi lo supera nei temi.
Interstellar supera, anche, e uccide assieme la voglia di ricerca.
Non esclude e nemmeno la sfotte, ma la voglia di ricerca in questo film si trova di fronte a un bel muro: non ci sono civiltà avanzate, non ci sono alieni benevoli a aiutare la Terra morente, ci siamo noi e solo noi.
L'uomo supera Dio, l'uomo diventa Dio. Molti hanno intravisto nel film una citazione alla filosofia nietzscheana, quello che è certo è che Nietzsche avrebbe apprezzato il film.
Anche Nolan e Zimmer si superano. Il primo mette finalmente il cuore nella propria produzione fin troppo freddina, il secondo va a pescare nella tradizione dell'organistica teutonica per far battere la musica al ritmo del nostro cuore. Nietzsche e le composizioni per organo, che bel binomio germanico!
L'uomo è Dio, è infinito e dal futuro (l'infinito ha tempo?) ci chiama: per dirci cosa? Non lo sappiamo e nemmeno loro lo sanno. L'IO futuro ha perso la capacità di capire il tempo come noi lo intendiamo e non riesce a comunicare con l'IO presente.
Ma allora, che senso ha la ricerca?
Questo non ci è dato saperlo, però il messaggio è chiaro: l'istinto e i sentimenti prevalgono, in positivo e in negativo, perciò se sentiamo che dobbiamo cercare qualcosa, dobbiamo farlo.
Nel film Dario Penne, doppiatore di Michael Caine, recita una poesia di Dylan Thomas:
Do Not Go Gentle into That Good NightDo not go gentle into that good night,Old age should burn and rage at close of day;Rage, rage against the dying of the light.Though wise men at their end know dark is right,Because their words had forked no lightning theyDo not go gentle into that good night.Good men, the last wave by, crying how brightTheir frail deeds might have danced in a green bay,Rage, rage against the dying of the light.Wild men who caught and sang the sun in flight,And learn, too late, they grieved it on its way,Do not go gentle into that good night.Grave men, near death, who see with blinding sightBlind eyes could blaze like meteors and be gay,Rage, rage against the dying of the light.And you, my father, there on the sad height,Curse, bless me now with your fierce tears, I pray.Do not go gentle into that good night.Rage, rage against the dying of the light.*Non andartene docile in quella buona notteNon andartene docile in quella buona notte,vecchiaia dovrebbe ardere e infierirequando cade il giorno;infuria, infuria contro il morire della luce.Benché i saggi infine conoscano che il buio è giusto,poiché dalle parole loro non diramò alcun conforto,non se ne vanno docili in quella buona notte.I buoni che in preda all’ultima ondasplendide proclamarono le loro fioche imprese,avrebbero potuto danzare in una verde baia,e infuriano, infuriano contro il morire della luce.I selvaggi, che il sole a volo presero e cantarono,tardi apprendono come lo afflissero nella sua via,non se ne vanno docili in quella buona notte.Gli austeri, vicini a morte, con cieca vista scorgonoche i ciechi occhi quali meteore potrebbero brillareed esser gai; e infurianoinfuriano contro il morire della luce.E te, padre mio, là sulla triste altura io prego,maledicimi, feriscimi con le tue fiere lacrime,non andartene docile in quella buona notte.Infuria, infuria contro il morire della luce.
Cito alcuni precedenti:
William Blake / Blade Runner (1982)
William Blake ricorre con almeno due frammenti nel capolavoro firmato nel 1982 da Ridley Scott, magistrale rielaborazione cinematografica del romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick (1968). La battuta declamata da Roy Batty (Rutger Hauer) all’ingresso nel laboratorio genetico di Hannibal Chew (il fornitore di occhi per i Nexus 6 della Tyrell Corporation) è “Avvampando gli angeli caddero; profondo il tuono riempì le loro rive, bruciando con i roghi dell’orco” (in originale: “Fiery the angels fell; deep thunder rolled around their shores; burning with the fires of Orc“). Si tratta di una parafrasi di una strofa del poema di Blake America: A Prophecy (1793):
Fiery the Angels rose, & as they rose deep thunder roll’d
Around their shores: indignant burning with the fires of Orc
And Bostons Angel cried aloud as they flew thro’ the dark night.
Ed è interessante notare come il sorgere degli angeli nelle parole del replicante muti in una caduta, un passaggio a cui sovente la critica si richiama per sottolineare il parallelo di Roy Batty con la figura di Lucifero, e del suo gruppo di replicanti ribelli con le schiere degli angeli caduti.
La seconda citazione dell’anticonformista poeta londinese viene pronunciata anch’essa da Batty, al cospetto del suo creatore Eldon Tyrell e proviene direttamente da The Tyger (1794), una delle sue poesie più celebri (e più citate, anche in sede letteraria e più strettamente fantastica: da Alfred Bester a Ray Bradbury a Audrey Niffenegger), che qui ripropongo nella traduzione di Giuseppe Ungaretti:
The Tyger
Tyger! Tyger! Burning bright
In the forests of the night:
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?
In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?
And what shoulder, and what art,
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand? And what dread feet?
What the hammer? What the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?
When the stars threw down their spears,
And water’d heaven with their tears:
Did He smile His work to see?
Did He who made the Lamb make thee?
Tyger! Tyger! Burning bright
In the forests of the night:
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful symmetry?
*
La Tigre
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?
Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?
Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?
Alfred Tennyson / Skyfall (2012)
Tho’ much is taken, much abides; and tho’
We are not now that strength which in old days
Moved earth and heaven, that which we are, we are;
One equal temper of heroic hearts,
Made weak by time and fate, but strong in will
To strive, to seek, to find, and not to yield.
*
[…]
Noi non siamo più ora la forza che nei giorni lontani
muoveva la terra e il cielo: noi siamo ciò che siamo,
un’uguale tempra di eroici cuori
infiacchiti dal tempo e dal fato, ma forti nella volontà
di combattere, cercare, trovare e non cedere mai.
William Ernest Henley / Invictus (2009)
Invictus
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
*
Invictus
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Buia come un pozzo che va da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per l’indomabile anima mia.
Nella feroce stretta delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo d’ira e di lacrime
Si profila il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
Altra citazione che mi sento di fare è l'influenza della poesia di Thomas citata in Interstellar sul grande George R. R. Martin. L'autore avrebbe dovuto intitolare uno dei suoi rari romanzi di fantascienza After the Festival, ma il titolo fu cambiato in corsa in Dying of the Light: è Luce Morente del 1977.